(Il testo riportato non
riveste carattere di ufficialità)
Ordinanza del Giudice del Lavoro di Piacenza del 13
novembre 2000.
IL
GIUDICE DEL LAVORO
Letti gli atti, sentite le parti ed i loro difensori, osserva quanto segue:
si premette che i ricorrenti, tutti medici dipendenti dell’A.S.L. di Piacenza,
ricorrono
al Giudice del lavoro del locale Tribunale, per sentire dichiarare la sospensione del loro obbligo di opzione sancito dall’art. 15 quater L. 502/92 come modificato dal D.L. 229/99 ai fini della scelta libero professionale infra od extra muraria, da effettuarsi entro il termine perentorio del 29.10.1999, successivamente prorogato dall’art. 1 D.L. 49/2000 al 15.3.2000 e ciò in quanto a tale data l’azienda non aveva opportunamente ottemperato all’obbligo sancito dal successivo art. 15 quinquies lett. a), di apprestare opportune strutture, così impedendo ai ricorrenti di poter operare una scelta libera e consapevole alla quale conseguisse una concreta possibilità lavorativa.
A miglior chiarimento, è necessario rilevare che, a differenza di quanto espressamente previsto dall’art. 1 10° comma 662/96, precedentemente disciplinante la materia, l’art. 15 quater in questione, come modificato dal D.L. 229/99, non condiziona più l’opzione all’”esistenza di strutture nelle quali l’attività libero professionale risulti organizzata ed attivata ai sensi dell’art. 4, 10° comma D.L. 30.12.1992 n. 502 ai fini dell’organizzazione”, per il quale era previsto il termine di 120 giorni dall’entrata in vigore del D.L. 517/93.
Secondo l’interpretazione letterale che deve essere adottato ex art. 12 preleggi, il mancato richiamo all’effettiva operatività delle strutture non può avere altro significato se non quello che, nella svolta decisiva della riforma sanitaria operata con il D.L. 229/99, il termine dell’opzione dei medici ospedalieri deve ritenersi tassativo e non più condizionato.
Sembra al giudicante che tale
interpretazione si presti per più aspetti a profili di incostituzionalità, in
particolare in relazione agli artt. 3 – 4 – 97 e 32 Costituzione.
Quanto alla violazione dell’art. 3 non può non rilevarsi come a fronte di
obblighi reciproci, logicamente e funzionalmente correlati, sia previsto solo
per il medico un termine perentorio, laddove l’azienda può, viceversa,
procrastinare “ad interim” la propria inadempienza, ponendo di fatto il medico
nell’impossibilità di svolgere la libera professione.
L’esistenza del termine perentorio a carico del solo sanitario, in mancanza di strutture che rendano operativa l’opzione, viola il diritto di questi ad effettuare una scelta libera e consapevole, rimettendo alla volontà potestativa dell’azienda anche in relazione alle sue effettive risorse finanziarie, il tempo ed il modo di apprestare le idonee strutture.
In un sistema di rapporti giuridici tra le parti, regolamentati a tutti gli effetti dal diritto privato - sia per quanto riguarda il rapporto di lavoro subordinato sottostante a quello professionale di cui trattasi, sia in relazione a quest’ultimo, per quanto concerne i reciproci obblighi tra ASL e professionista- la previsione unilaterale del termine, da cui discende comunque una scelta irreversibile, appare fortemente discriminatoria e non supportata da motivi che ricolleghino il differente trattamento ad interessi superiori.
Anzi, la mancata prestazione libera professionale intramoenia del medico, impedisce all’azienda stessa di fornire un ulteriore servizio specifico cui è istituzionalmente chiamata e di raggiungere così un obiettivo di risultato (primariamente economico, a causa della mancata percezione delle entrate che competono all’ASL per tale attività), che è uno dei capisaldi dell’aziendalizzazione delle ASL e della riforma sanitaria in genere.
Per quest’aspetto si può ravvisare un ulteriore profilo di illegittimità dell’art. 15 quater, in relazione all’art. 97 Cost., che impone il buon andamento della Pubblica Amministrazione, non dovendosi dimenticare la natura pubblicistica dell’ente e delle sue finalità.
Altro motivo di incostituzionalità si ravvisa in relazione all’art. 4 Cost., in
quanto l’impossibilità del medico di operare fuori dell’azienda per
l’incompatibilità legale derivante dall’opzione, e dentro l’azienda, per
mancanza di spazi e strutture, viola palesemente il diritto al lavoro garantito
dal succitato articolo.
Neanche la possibilità di convenzione degli studi esterni può ritenersi un adeguato correttivo all’inconveniente, trattandosi di alternativa transitoria, che spesso non giustifica la necessità del medico di effettuare onerosi investimenti nei beni strumentali, destinati a diventare antieconomici in ragione del loro utilizzo temporalmente limitato.
Quanto al profilo d’illegittimità in relazione all’art. 97 Cost., oltre che per
quanto già esposto, appare chiaramente come il ritardo o l’omessa
predisposizione delle strutture e dei servizi comporterebbe un inevitabile risarcimento
a favore dei medici da parte dell’USL, che in ragione della sua natura pubblica
è tenuta al dovere di buona amministrazione che ricomprende in sé, in primo
luogo, l’uso corretto delle risorse finanziarie, secondo un principio di
economia che vieta spese altrimenti evitabili, tanto più se esse sono dovute a
consapevole inadempienza.
Quanto infine alla violazione dell’art. 32 Cost. si rileva come la mancata operatività del medico che ha optato si rifletta anche sul primario diritto dei cittadini alla salute, concretandosi di fatto nella limitazione se non addirittura nella negazione del diritto alla scelta fiduciaria del medico e del regime contrattuale cui si vuole accedere.
In conclusione ritiene questo Giudice che l’art. 15 quater 3° comma L. 502/92,
nella parte in cui non prevede un termine a carico dell’ASL entro il quale
adempiere o, in caso di inadempienza dell’ASL, la sospensione del termine
previsto per effettuare l’opzione, si ponga in contrasto con gli artt.
3,4,32,97 della Costituzione per gli indicati profili sostanziali.
P.Q.M.
Dichiara
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 15 quater 3° comma della legge 502/92 in relazione
agli artt. 3,4,32,97 della Costituzione.
Dispone
la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale e la sospensione del
presente giudizio.
Ordina
che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti
ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti
della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.
Così
deciso in Piacenza il 13 novembre 2000.